Arte in Lotta

L’arte e la cultura in mano a un popolo in lotta possono diventare potenti forme di propaganda e mobilitazione. Questo lo sa bene il popolo palestinese, che da sempre le utilizza per essere cassa di risonanza della Resistenza e combattere i tentativi di cancellazione della propria memoria e identità messi in atto dall’occupazione sionista.

Danza

La dabka (in arabo: دبكة‎) è una delle principali forme di danza in Palestina ed ha origini fenicie. “Dabka” significa letteralmente “battere i piedi”, infatti in questa danza i ballerini battono i piedi in combinazioni formando linee e cerchi, insieme a molti calci e vortici.

Originariamente era una danza popolare, che celebrava le tradizioni dei popoli del territorio tra Libano, Siria, Palestina, Iraq e Giordania. Presto divenne espressione di resistenza e viene utilizzata nelle proteste. Durante il protettorato britannico veniva utilizzata come dichiarazione di resistenza all’immigrazione ebraica in Palestina e contro il sostegno al movimento sionista.

Ne è un esempio la performance di dabka documentata nel 1923 presso il villaggio di Nebi Musa. Dopo il 1948, vennero utilizzate coreografie di dabke per raccontare le storie dei villaggi distrutti durante la Nakba.

Oggi, come allora, la dabka viene insegnata ai bambini, è ballata dai giovani ed è la danza dell’identità e della resistenza palestinese, rappresentando una rivendicazione culturale e una dimostrazione di sostegno alla lotta del popolo palestinese.

In questi giorni, la dabka scuote le molteplici manifestazioni in sostegno della Palestina, e sono molti i video che la vedono protagonista.
Con la dabka, la danza diventa propaganda e uno strumento di lotta contro l’occupazione sionista.

Arte del ricamo Tatriz

Il ricamo palestinese è una questione politica, perché la sua storia si intreccia con quella della lotta di liberazione del popolo palestinese: non solo ne rappresenta l’identità culturale, ma ha avuto e ha un ruolo come forma di propaganda. Inoltre, è stato ed è uno strumento nelle mani delle donne che, anche attraverso di esso, diventavano agenti e protagoniste della lotta.

Prima della Nakba, gli abiti femminili avevano la stessa forma caratteristica, ma si differenziavano molto in quanto a decorazione: ogni città e villaggio palestinese aveva il suo particolare “punto” e il proprio colore di riferimento.

Dopo il 1948, la maggior parte dei palestinesi è stata costretta a scappare nei campi profughi a Gaza, in Giordania, in Libano, così famiglie provenienti da diverse zone della Palestina si sono trovate insieme, unite dallo stesso dolore e le caratteristiche regionali e i motivi degli abiti si sono fusi ed uniti. In questo periodo c’è meno tempo per dedicarsi al ricamo, e si utilizzano materiali sintetici perché i tessuti egiziani non sono più disponibili.

Negli anni ’70, l’abito palestinese si è colorato di una nuova simbologia: sui vestiti delle donne di Khalil e di Qalandia, dove l’esercito israeliano aveva proibito l’uso della bandiera palestinese, appaiono i simboli storici della lotta.

Sugli abiti vengono ricamati la bandiera palestinese, il nome Palestina, i colori palestinesi, la Moschea al-Aqsa. Con il crescere della partecipazione delle donne nella lotta e della loro coscienza, il loro abito è diventato lotta e resistenza in solidarietà con i combattenti palestinesi, diventando una forma di propaganda e sfida all’oppressione dell’occupante.

Oltre agli abiti delle donne, l’ago e il filo hanno dato vita ad un altro importante simbolo di lotta, la kefiah.

Le sue trame hanno un significato preciso: la foglia di ulivo rappresenta la forza e la perseveranza, la rete da pesca simboleggia la connessione tra i marinai palestinesi e il mar Mediterraneo, le strisce in grassetto rappresentano le rotte commerciali che attraversano la Palestina.

Originariamente utilizzata come copricapo tradizionale dai contadini palestinesi, durante la grande rivolta araba del 1936 la kefiah divenne un simbolo di resistenza contro l’occupazione imperialista inglese.

Negli anni ’70, poi, il movimento di solidarietà in Europa ha contribuito a diffondere la kefiah come segno di sostegno alla Resistenza.

Cibo

In Palestina, la casa è il cuore della vita quotidiana, e il momento di condivisione più significativo è il pasto. Sedersi a tavola insieme è un rituale di connessione familiare e comunitaria, che trascende il semplice mangiare. È un momento in cui si raccontano storie, si condividono gioie e dolori, si discute di politica e si tramandano tradizioni.

In questo spazio, la cucina diventa un luogo di Resistenza, preservando le ricette e le pratiche culinarie che rappresentano un legame tangibile con la terra e la storia del popolo palestinese.

Falafel
Maqluba

Le tradizioni culinarie antichissime del popolo palestinese sono state gradualmente usurpate dall’entità sionista nel corso degli anni, in cui è arrivata ad annoverarle come proprie. Non ci sarebbe nulla di male se si trattasse di una fusione tra diverse culture, peccato che l’entità sionista occupa le terre ed opprime il popolo palestinese da decenni; l’unica espressione che si può usare è quindi “furto coloniale”.

Hummus, Makluba e Falafel sono solo alcune delle pietanze che vediamo impropriamente nei menù “israeliani”. Sarà balzato agli occhi di tutti come nelle fiere culinarie, spesso caratterizzate dalla presenza di stand sionisti, tra le “ricette della tradizione israeliana”, vengano proposti piatti palestinesi o mediorientali.

La lotta del popolo palestinese passa anche attraverso la storia, la cultura, l’informazione e le tradizioni della vita di tutti i giorni. Sta anche a noi denunciare la volontà di “israele” di privare un popolo delle proprie radici, con il chiaro intento di cancellarlo da quelle terre.

Cinema

Sulafa Jad Allah e Hani Jawhariyyeh 1967/68

Il cinema palestinese emerge principalmente con lo svilupparsi dei movimenti rivoluzionari e di liberazione della Palestina. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) infatti, come altri movimenti anti-coloniali nel mondo, ha promosso il cinema come strumento di diffusione delle istanze del popolo palestinese: tra i primi esempi di cinema militante vediamo il “Gruppo Cinematografico Palestinese”, membro del Centro di Ricerca dell’OLP, che poi divenne Palestine Film Unit.

The Palestine Poster Project Archivio “Decimo anniversario del Palestine Cinema Institute”, PLO
United Information, acquistato da Liberation
Grafica, 1977

Negli anni la produzione cinematografica palestinese ha sconfinato in molti paesi, riuscendo a raggiungere un pubblico internazionale e far emergere la realtà che il popolo palestinese subisce quotidianamente.

Oggi esistono numerosi festival cinematografici che mettono al centro proprio la produzione palestinese, come uno strumento fondamentale per dare voce ad un popolo ed alla sua lotta di liberazione.

L’Al Ard Film Festival, ad esempio, auto-prodotto e indipendente, promuove da anni il mantenimento della cultura palestinese e lo sviluppo della solidarietà attraverso la proiezione di film palestinesi a Cagliari.

Tra le varie fondazioni che ci sono oggi in Palestina, una delle più importanti istituzioni cinematografiche è Shashat (“schermi”), che si dedica principalmente ai film al femminile: pellicole che mostrano la vita delle donne in tutti i settori della società palestinese, come parte integrante della vita e della lotta di liberazione.

Fumetto

I fumetti sono un’arma potente in grado di trasmettere un messaggio attraverso l’unione della scrittura e del disegno.

Una delle matite palestinesi più importanti è Naji al-Ali, assassinato dal Mossad nel 1987, per le idee politiche che esprime con forza nelle sue opere, lavorando per le maggiori testate giornalistiche del mondo arabo. Il suo obbiettivo era quello di avere un dialogo diretto e quotidiano con chi viveva la sua stessa realtà: dal campo profughi palestinese alle grandi città arabe.
Handala, il suo personaggio più importante, è una vera e propria icona della Resistenza palestinese.

Letteratura

L’uso della letteratura contro l’occupazione in Palestina nasce già durante il protettorato britannico, ne è un esempio l’opera del rivoluzionario e poeta Abdel Rahim Mahmoud.

Dopo la Nakba, i letterati iniziano a scrivere mossi dall’urgenza di tramandare alle nuove generazioni il dolore delle stragi e l’amore per la terra perduta.

In seguito, Ghassan Kanafani (1936-1972), scrittore tra i fondatori del FPLP, è anche il primo a parlare di Adab al-Muqawwana (Letteratura di Resistenza) per descrivere un gruppo di intellettuali palestinesi che utilizza la propria arte al servizio della lotta.

Mahmoud Darwish (1941-2008) è considerato, dallo stesso Kanafani, il poeta più importante nella fase moderna della Letteratura di Resistenza.

La musica popolare palestinese

La musica palestinese spazia attraverso molti generi e la canzone popolare ne rappresenta una delle forme principali.

La Seconda Intifada segna fortemente la storia dell’hip hop palestinese, il quale è diventato espressione della Resistenza culturale, sia in Palestina che nella diaspora.
Gli artisti rap si confrontano non solo con l’occupazione sionista in corso, ma anche con le questioni sociali e le sfide quotidiane, che diventano oggetto dei loro testi di denuncia e protesta.

Murales

Murales campo profughi di Aida, Betlemme
Murales di Ghassan Kanafani, ingresso principale del campo profughi di Daeisheh (Sud Betlemme)

Ricordiamo l’artista e insegnante Heba Zagout che la notte del 13 ottobre, a seguito degli intensi bombardamenti israeliani su Gaza, ha perso la vita quando un missile ha colpito la sua abitazione, riducendola in macerie. Insieme a lei, hanno trovato la morte anche i suoi figli e l’intera famiglia.
Le splendide tele che aveva creato sono state anch’esse distrutte sotto le macerie.

Heba Zagout, Gaza Peace, 2021
Heba Zagout, Jerusalem, 2023
Heba Zagout, Jerusalem at Night, 2022

Materiale utile per approfondire