Significa essere parte di un movimento di liberazione nazionale e, al tempo stesso, determinarsi rispetto alle contraddizioni specifiche dovute all’identità di genere.
Le donne palestinesi sono, da sempre, coinvolte nella politica e nella militanza per la liberazione della propria terra dalla ferocia del colonialismo.
Sotto il protettorato britannico, le donne palestinesi si organizzano contro l’occupazione inglese e la minaccia dell’invasione sionista. Durante la Nakba, svolgono un ruolo fondamentale come protettrici delle famiglie e custodi della storia nazionale, attivandosi nel soccorso dei profughi.
Negli anni ’50 e ’60, le donne si affermavano nello spazio politico e pubblico: molte continuarono a lavorare nelle associazioni di beneficenza, altre aderirono a partiti politici, soprattutto al Movimento Nazionalista Arabo (MNA). Altre ancora si impegnarono nella creazione dell’OLP, molte studiarono per diventare professioniste (insegnanti, medici, giornaliste).
Negli anni ’60 e ‘70, con l’emergere di un movimento di liberazione, alcune donne si dedicarono ad attività più militanti, partecipando anche alla lotta armata.
Negli anni che precedono la Prima Intifada, si vede un grande sviluppo della coscienza politica nei Territori Occupati. In questo contesto, le organizzazioni femminili cominceranno a costruire la capacità di mobilitazione che si esprimerà con tutta la sua determinazione nella Prima e nella Seconda Intifada.
Si fa avanti una nuova generazione di donne già politicamente impegnate, cresciuta nella realtà dell’occupazione e consapevole dei propri diritti negati.
Infatti, l’oppressione sionista su di esse mostra il volto più spietato, fatto di violazioni di diritti fondamentali come quello alla salute o all’istruzione, assassinii, sfruttamento nel luoghi di lavoro, violenze fisiche e psicologiche.
Per l’occupante sionista le donne palestinesi sono un nemico pericoloso perché, tessendo la tela della resistenza quotidiana, sono filo conduttore delle nuove generazioni e agenti esse stesse della lotta.
Testimonianza di questo impegno sono le numerose donne palestinesi che subiscono il carcere.
Con questo stesso indomito coraggio vediamo oggi le donne palestinesi resistere in Cisgiordania, nei Territori Occupati del ’48 e nel fuoco del genocidio in corso a Gaza.
Volti di una Resistenza che non ha fine
Samiba Khalil (1924 – 1999)
Attivista palestinese, arrestata più volte durante le proteste dell’Intifada. Leader del Partito del Popolo, si oppose agli Accordi di Oslo e si candidò alle elezioni palestinesi del 1996.
Nella storia del Medio Oriente potrebbe essere considerata come una delle poche donne ad aver partecipato a libere elezioni come candidata.
May Sayegh (1940 – 2023)
Figura di spicco del femminismo palestinese, è stata attivista sin dall’adolescenza, guidando la sezione femminile del partito Ba’ath.
Espulsa da Gaza nel 1967, ha continuato la lotta per la liberazione palestinese e i diritti delle donne, ricoprendo ruoli di rilievo nell’OLP.
Poetessa impegnata, ha raccontato le lotte delle donne palestinesi attraverso la poesia.
Si è inoltre distinta come fervente sostenitrice dei diritti delle donne all’interno della comunità palestinese, promuovendo una maggiore inclusione femminile nel Consiglio Nazionale Palestinese e nelle politiche decisionali.
Leila Khaled (1944)
Membro del FPLP, attiva nel Consiglio Legislativo Palestinese e nell’Unione Generale delle Donne Palestinesi.
È nota per il suo coinvolgimento nei dirottamenti aerei del 1969 e 1970, divenendo la prima donna coinvolta in azioni simili.
Simbolo della lotta palestinese, il suo impegno politico continua a guidare la sua militanza.
Shadia Abu Ghazaleh (1949 – 1968)
Parte del MNA (Movimento Nazionalista Arabo) e pioniera del FPLP. Alla guida di organizzazioni femminili, fu tra le prime donne palestinesi ad abbracciare la Resistenza armata dopo il 1967.
All’interno del movimento, guidò organizzazioni femminili e fu coinvolta nella politica e nell’educazione militare dei giovani. Dissero di lei: “Considerava l’educazione, la conoscenza e la scienza come armi nella lotta per la liberazione”.
Morì il 28 novembre 1968, all’età di 19 anni, in un’esplosione accidentale avvenuta mentre preparava una bomba, che si dice fosse destinata ad un attacco a Tel Aviv.
Il suo coraggio e la sua eredità vivono ancora oggi.
Khalida Jarrar (1963)
Membro del FPLP e del Consiglio Legislativo Palestinese, ha dedicato anni al sostegno dei prigionieri palestinesi dirigendo Addameer (ONG per la difesa dei prigionieri palestinesi).
Attiva anche nella difesa dei diritti delle donne palestinesi, ha subito ripetute detenzioni amministrative ed è coinvolta nella campagna di arresti in Cisgiordania dopo il 7 ottobre 2024.
Materiale utile per approfondire:
Qumi è il nome che abbiamo scelto noi donne palestinesi, arabofone e di diverse nazionalità oppresse, vittime di un Occidente che, nel migliore dei casi vuole salvarci, nel peggiore vuole ucciderci sotto le bombe.
Speriamo che questo possa essere l’inizio di un percorso di lotta transfemminista, intersezionale, postcoloniale, antimperialista e antirazzista.