
L’oppressione in Palestina non è costituita solo dalle operazioni di guerra, ma anche da strategie e occultamenti spacciati per “operazioni green”, escogitati appositamente come tattica di conquista con l’intento di espropriare i palestinesi e le comunità locali, come quella dei beduini.
Far rifiorire il deserto?
Nel 1901 il Jewish National Fund (Fondo Nazionale Ebraico) cominciò ad impossessarsi di territori palestinesi tramite l’acquisto di terreni i cui proprietari erano assenti. Così facendo iniziava un vero e proprio processo di colonizzazione. I palestinesi non ci misero molto per capirlo e smisero di cedere le loro terre.

Cosa fece il JNF allora?
La mossa del JNF fu quella di registrate ogni informazione sui villaggi e sulle comunità palestinesi e beduine. Durante la Nakba, questi archivi furono utilizzati dalle milizie sioniste per sfollare i villaggi, tramite deportazioni di massa e genocidi.
Cosa accadde dopo la Nakba?
Alla fine della catastrofe, “Israele” contava sotto il suo possesso il 70% dei territori palestinesi, mentre il 90% dei beduini venne espulso dal paese.
Il restante 10% oggi vive in una piccola landa di terra del Negev. Pur essendo a tutti gli effetti dei cittadini israeliani, la loro comunità e la loro cittadinanza non sono riconosciuti. Infatti, non ricevono né acqua né elettricità dallo stato, né possiedono i permessi di costruzione.
Cosa successe al JNF?
L’ente fu dichiarato colpevole della pulizia etnica e soprattutto di occultamento della Nakba, dopo che sopra le macerie dei villaggi distrutti piantò centinaia di alberi per coprire l’orrore commesso. Si dice che molti parchi costruiti dall’organizzazione stessa siano dei veri e propri cimiteri.


Cosa fa oggi il JNF?
Il JNF oggi è ancora molto attivo e la sua missione è sempre una: lo sfollamento dei palestinesi.
L’ente mantiene il controllo delle zone occupate tramite la piantumazione di foreste nei territori abitati, in modo da fermare l’espansione beduina e impedire il loro ritorno in terra natia. Si tratta di un vero e proprio colonialismo verde.
L’organizzazione agisce, oltre che in Negev, anche in Cisgiordania e ad Est di Gerusalemme. Per citare un esempio, all’inizio del 2022 le forze del JNF irruppero nei territori del deserto del Negev per “un’opera di forestazione”. L’obiettivo era quello di “far rifiorire il deserto”, spianando completamente i campi coltivati dalle comunità beduine locali e radendo al suolo ulivi e fichi dai quali la popolazione traeva nutrimento. Oltre che un danno epocale all’ecosistema del territorio, fu anche un vero e proprio danno all’economia del posto, dal momento che il popolo dei beduini è un popolo di contadini (coltivavano oltre 25.000 acri).
L’atmosfera tossica di Gaza
Già nella guerra del 2008-2009 il Direttore del Reparto di Oncologia dell’Ospedale Al Shifa di Gaza, oggi distrutto dai bombardamenti sionisti, disse di aspettarsi un raddoppio d’incidenza dei tumori dovuto all’utilizzo di uranio da parte di “Israele”.

Ma oggi?
È stato calcolato che tra ottobre e novembre 2023 “Israele” abbia sganciato l’equivalente di due bombe nucleari su Gaza, un territorio grande quanto la metà del raggio di azione della bomba di Hiroshima. Le bombe piovute sulla Palestina hanno inoltre causato l’incendio di oltre 40.000 ulivi, 3.500 mq2 di alberi d’ogni tipo, avvelenando l’aria.
L’atmosfera è altamente tossica, anche per via dell’utilizzo di armi al fosforo bianco da parte di “Israele”. Inoltre, i gazawi tentano di costruire ripari utilizzando le macerie degli edifici crollati, imbevute di tossine cancerogene ricche di elementi radioattivi.

Acqua e cibo e in guerra
A ottobre 2023, l’entità sionista, tagliando tutte le forniture dirette a Gaza, ha messo fuori uso gli impianti di desalazione dell’acqua, rendendo il 96% della stessa non potabile.
Ogni sistema di pompaggio e di depurazione non funziona.
Il grano è introvabile, così come ogni altra forma di cibo, costringendo i palestinesi a nutrirsi dell’erba secca delle praterie del Medio Oriente. La popolazione locale si trova costretta a scegliere se morire sotto i bombardamenti della guerra o per sete e per fame.
La denuncia di Oxfam

Expo 2015
Durante l’Expo 2015 di Milano, veniva messo in mostra il padiglione “Israele”, il quale offriva una larga esposizione di tecnologie innovative e all’avanguardia, come ad esempio “i campi verticali”. L’entità sionista metteva in mostra il suo operato nel deserto nel Negev, ovvero il suo progetto di “far rifiorire il deserto”, e mostrava, vantandosene, le tecniche del terrore imposte all’economia del luogo.

Come vivono oggi i beduini?

Varie interviste alla comunità beduine rilevano che molti dei loro villaggi sono circondati da vere e proprie colonie istituite dallo stato di “Israele”, alcune al solo scopo di presidiare una zona.
Per citare uno dei tanti esempi di “odissee beduine” presentiamo la vita nel villaggio di Khan Al Ahmar, in Cisgiordania.
Storia
Gli abitanti di questo insediamento non sono qui da sempre. Provengono, infatti, dal deserto del Negev, luogo che coltivavano dal VII secolo, e nel 1946 contavano all’incirca 95.000 persone. In seguito alla Nakba, i beduini rimasti furono dichiarati “rifugiati” dall’ONU, ma piuttosto che entrare nei campi profughi cercarono di ritrovare il loro stile di vita dedito all’agricoltura e alla pastorizia nelle terre della Cisgiordania, ricche di risorse naturali.
Nel 1967, dopo l’occupazione israeliana della Cisgiordania, i beduini furono nuovamente perseguitati: molte delle loro terre furono definite zone militari o riserve naturali dallo stato occupante e le loro attività contadine vennero severamente limitate. I beduini continuarono a essere espulsi ancora, l’ultimo sfollamento risale al 1998.
Attualmente
Ad oggi, il capo villaggio riferisce che l’elettricità passa direttamente sopra le loro case, ma che è destinata solamente alle colonie limitrofe, e che tutto ciò su cui può contare il loro villaggio è su un generatore e una cisterna d’acqua (non illimitata). Essendo il villaggio situato nell’area C, che si trova sotto il controllo degli israeliani, i beduini non possono né costruire né coltivare le loro terre, e nemmeno apportare modifiche al loro villaggio, come ad esempio l’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia. Il 67% delle famiglie beduine vive sotto la soglia di povertà.
Un nuovo sfollamento?
Il complesso progetto E1 nelle intenzioni di “Israele” prevede l’ennesima colonizzazione dei territori tra Gerusalemme e la Cisgiordania. Il rischio di fronte al quale si trova la comunità di Khan Al Ahmar è quello di venire trasferita nel villaggio di Al Jabal, dove “Israele” promette “appartamenti confortevoli e aria condizionata”. Ma gli abitanti attuali di Al Jabal possono testimoniare che quella cittadina sorge direttamente a fianco a una delle più grandi discariche del territorio, quella di Abu Dis, che riceve di continuo tonnellate di rifiuti da Gerusalemme. Nella discarica sono state rilevate ingenti presenze di gas tossici e un’elevata presenza di materiale infiammabile. Oltre a questo, la discarica attira frequentemente i cani randagi, famosi per aver attaccato più volte pascoli e abitanti. Persino l’ONU ha chiesto a “Israele” di chiudere il sito di smaltimento dei rifiuti. Allo sguardo verso il futuro, il capo villaggio non ha molte buone aspettative, ma trasmette la sua tenace voglia di continuare a resistere, nonostante ammetta di non trovare molto aiuto nemmeno dall’autorità palestinese locale.