
I giovani palestinesi subiscono l’oppressione sionista in diversi modi: dal peso della disoccupazione, che in Palestina raggiunge livelli altissimi, allo sfruttamento nelle fabbriche, nei cantieri o nelle serre dei Territori Occupati del ’48. A questo si aggiungono le forti limitazioni della libertà di movimento nella propria stessa terra.
I giovani palestinesi, infatti, sono costretti ad affrontare una fitta rete di checkpoint, rimanendo costantemente sotto il mirino della repressione sionista e dei coloni in Cisgiordania e nei Territori Occupati del ’48 o degli attacchi aerei a Gaza.
In questo contesto vengono continuamente violati i diritti fondamentali come quello alla salute e all’istruzione.

Cosa significa studiare in Palestina: tra diritto negato e resistenza
- Le operazioni militari, le espulsioni forzate e le scuole bombardate impattano significativamente studenti e personale scolastico.
- “Israele” ha vietato l’importazione di materiale didattico, rendendo difficile per gli studenti proseguire l’istruzione in modo adeguato.
- Il sistema dei checkpoint, oltre che sottoporre gli studenti a perquisizioni e violenze, è una barriera agli scambi culturali con le università della Cisgiordania e Gaza o di altri paesi.
- Gli studenti universitari subiscono molestie, violenze e detenzioni arbitrarie, che limitano fortemente la libertà accademica e di espressione.
- Le scuole e le università in Palestina sono storici centri di resistenza, dove gli studenti si mobilitano e si organizzano contro l’oppressione.
Per questo le forze israeliane spesso prendono di mira e invadono le scuole. Per proteggere le scuole dall’eventuale demolizione, i giovani palestinesi le occupano e costruiscono strutture temporanee con materiali come gomma, legno e argilla, che non necessitano del permesso dell’entità sionista.
Un esempio è la scuola a Maser Yatta nel Sud della Cisgiordania: il 23 novembre 2022 le forze di occupazione israeliane hanno demolito una scuola elementare costruita qualche settimana prima, nella zona rurale di Isefey a Masafer Yatta.


“La mattina sono arrivati I soldati per la demolizione, dando 3 minuti per abbandonare la scuola; bambini e maestre si sono rifiutati di abbandonare la scuola e la risposta dell’esercito sionista è stata quella di chiuderli dentro con i lacrimogeni, facendo scappare tutti. Mentre i soldati demolivano la scuola, le famiglie hanno innalzato le bandiere palestinesi e hanno cantato l’inno nazionale palestinese come simbolo di resistenza”, racconta un anziano della comunità.
All’indomani dalla demolizione, il Ministero dell’Educazione palestinese ha consegnato alla comunità una grossa tenda, che creava un unico grande ambiente di studio, per garantire ai bambini la possibilità di continuare a imparare.
“Invece delle sedie abbiamo utilizzato le pietre e abbiamo continuato a studiare, purtroppo senza i nostri libri” raccontano gli studenti. Tuttavia, dopo qualche giorno, anche la tenda è stata confiscata dall’autorità sionista.
Tale situazione spinge sempre più giovani all’abbandono scolastico.
Gli studenti di Gerusalemme Est non possono frequentare le scuole e le università presenti nel resto della Palestina occupata.
In Cisgiordania, per aggirare gli insediamenti dei coloni e raggiungere la scuola, i bambini devono percorrere strade sterrate camminando per ore, attraversare colline e rovi, allungando notevolmente il tragitto. Anche quando riescono ad accedere alle scuole, spesso si trovano in classi sovraffollate, con risorse limitate a disposizione.
A causa dei continui raid aerei, gli studenti di Gaza sono costretti a studiare a casa. La mancanza di elettricità e l’accesso limitato a internet, a causa dei bombardamenti, rendono difficile lo studio.
Il sistema educativo sionista
Il sistema educativo israeliano mira a formare le menti dei futuri soldati sionisti, i quali raggiunta la maggiore età si arruolano per svolgere il servizio militare obbligatorio della durata di 3 anni per gli uomini e di 2 anni per le donne, con il compito di attuare la politica di apartheid israeliana. Non solo, tutta la società israeliana è coinvolta nel progetto coloniale e per questo deve essere compattata ideologicamente in sua difesa.

Per questo già dalla tenera età, a bambini israeliani vengono insegnate visioni distorte della realtà, per formarli ideologicamente al servizio dell’occupazione. Ad esempio, secondo un’inchiesta del 2010, più della metà degli studenti israeliani ritiene che i cittadini palestinesi non debbano godere dei loro stessi diritti civili e politici.
Nel campo dell’istruzione, l’entità sionista promuove l’immagine di sé come l’unica democrazia del Medio Oriente e oltre. L’ideologia sionista, inculcata nei libri di testo, si basa su quattro principi significativi:
- Gli ebrei hanno un diritto storico di vivere in Palestina.
- Gli arabi sono considerati una minaccia e odiano gli ebrei.
- Il mondo è antisemita
- Gli arabi possiedono 21 paesi, mentre gli ebrei ne hanno solo uno.
Le università israeliane al servizio dell’oppressione
Un ruolo chiave nella ricerca e sperimentazione di nuove armi è ricoperto da tutte le università israeliane. Queste istituzioni accademiche costituiscono uno dei tre pilastri fondamentali del sistema di occupazione sionista, accanto alle forze armate e ai molteplici apparati dei servizi segreti, nonché al complesso industriale e finanziario. Fin dalla fondazione dello stato di “Israele”, scuole, istituti, centri di ricerca e laboratori scientifici hanno contribuito alla costruzione delle basi culturali e ideologiche del sionismo e dell’apartheid nei confronti del popolo palestinese.
La repressione sionista contro i bambini e giovani palestinesi





Visto che l’obiettivo sionista è portare a compimento la colonizzazione di insediamento eliminando il popolo palestinese, è chiaro che i bambini e i giovani, che ne rappresentano il futuro, devono essere colpiti per primi. I bambini e i giovani subiscono arresti, violenze e detenzioni arbitrarie per distruggere i semi della resistenza. Basti pensare che l’entità sionista è l’unico stato al mondo ad aver istituito un tribunale militare per minori.
I bambini, infatti, subiscono lo stesso trattamento degli adulti. Circa 700 bambini palestinesi di età inferiore ai 18 anni in Cisgiordania vengono perseguiti ogni anno attraverso i tribunali militari israeliani, dopo essere stati arrestati, interrogati e detenuti dall’esercito israeliano. L’accusa più comune contro i bambini è il lancio di pietre, un crimine che è punibile, secondo la legge militare sionista, fino a 20 anni di carcere.

Negli ultimi 20 anni si stima che 12.000 bambini palestinesi siano transitati dal sistema di detenzione militare israeliano. Secondo PCATI (Comitato Pubblico Contro la Tortura in Israele), durante la detenzione, i bambini vengono tenuti insieme ai criminali israeliani adulti e vengono esposti a stupri, molestie sessuali, furti, minacce e continue violenze fisiche e psicologiche.
Da parte dell’esercito israeliano invece, vengono sottoposti a privazione del sonno, continui e lunghi interrogatori, doloroso ammanettamento di mani e piedi, versamento di acqua gelata addosso e molto altro. A loro vengono negate le viste da parte dei familiari e degli avvocati.
A questo si aggiunge la punizione alle famiglie dei bambini e ragazzi detenuti che passano da multe salatissime a cifre esorbitanti per le cauzioni, fino all’esproprio delle terre o della casa delle famiglie.
È evidente che questo accanimento su bambini e ragazzi non è altro che un modo per contenere e reprimere una futura resistenza attiva e organizzata.

La lotta dei giovani palestinesi


Dopo la grande delusione degli Accordi di Oslo e di quelli successivi, i giovani hanno ben compreso che solo la lotta potrà restituire alla loro terra la libertà. Oggi sono in prima linea, il loro impegno e la loro determinazione sono il cuore pulsante della Resistenza e dei movimenti di protesta e solidarietà, sia all’interno della Palestina che in diaspora.
Negli ultimi anni sono stati protagonisti di azioni spontanee, come durante “l’Intifada” dei coltelli, o di mobilitazioni più strutturate, come la Grande Marcia del Ritorno, o organizzandosi dentro le università palestinesi. Hanno formato brigate autonome in alcune città della Cisgiordania come la Fossa dei Leoni a Nablus, la Brigata Jenin, il Nido dei Calabroni a Gerico, ma anche a Tulkarem e a Tubas. Hanno promosso scioperi nelle scuole, quelli degli avvocati, dei medici, dei giudici contro l’ANP in Cisgiordania.
Oggi sono tra i maggiori protagonisti della Resistenza a Gaza, che ha sferrato l’attacco del 7 ottobre, e sono tra gli animatori della solidarietà che attorno alla Palestina sta crescendo in tutto il mondo.
Giovani Palestinesi d’Italia
Il movimento dei Giovani Palestinesi d’Italia è un esempio significativo di una nuova generazione impegnata nella causa palestinese.
Nati in diaspora, questi giovani mantengono viva la fiamma della resistenza e della cultura palestinese, portando avanti la memoria storica e l’attualità della lotta attraverso la formazione delle nuove generazioni.
Promuovono attivamente il boicottaggio delle istituzioni e delle aziende coinvolte nell’occupazione della Palestina, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica e creare pressione internazionale per il riconoscimento dei diritti palestinesi.
